Dal 2011 la villa Bassi accoglie concerti ed eventi in memoria di Indro Montanelli. Inoltre, nel Dicembre del 2015, nel periodo delle feste Natalizie, il ‘Salotto Bono’ di Le Vedute é stato riaperto per un thè letterario.
In quella occasione il poeta Andrea Giuntini ha pronunciato alcuni brani di Montanelli sulla vita familiare e letteraria di Le Vedute e del suo ‘salotto’.
Nella primavera del 2016, l’Associazione Fucecchio Riscopre ha organizzato, insieme alla Fondazione Bassi Montanelli ed ai proprietari della villa, una visita guidata nella casa, nella Cappella e nel parco.
Degli episodi della vita di Indro sono stati rimembrati e sono state letti brani del Fucini, poeta toscano frequentatore della Villa. Durante la visita sono state aperte varie stanze della Villa, tra queste, il Salotto Bono, la camera di Indro Montanelli da ragazzo e la camera dei Nonni.
Oltre ai vari eventi culturali, in questa cornice storica e culturale sono stati celebrati battesimi, matrimoni, cinquantesimi.
“Giorno di festa o di lavoro, alle cinque alle Vedute si prendeva il tè (il signor Emilio si era ostinato sempre a chiamarlo “il beverone”. Ma alla Signora non dispiaceva). Quella era l’ora più sacra della giornata, anzi ne era un poco l’acme. Se era lecito qualche volta mancare a pranzo o a cena, all’ora del tè non si poteva assolutamente mancare.
Era un’ora dolce e morbida che si consumava nella libreria la quale, d’estate, era la stanza più fresca e d’inverno la meglio riscaldata. Nulla di speciale, quanto a arredo: rettangolare, l’uscio a un capo e la finestra all’altro, una finestra bassa con inferriata e un polipaio di rampicanti in agguato per entrare dentro alla casa. dava di dietro su uno spiazzo modesto di lato al frantoio, un po’ più su del gabbione delle tortore. Non c’era panorama: la vista impennava sulla barriera degli olivi nell’orto e solo più lontano rasentava la schiuma nera dell’ondata dei pini del Mandriale a risacca contro la parete violacea e dura del Monte Pisano.
I muri della stanza erano vecchi e sbavati d’umido, ma poco se ne vedeva ché eran tutti tappezzati di scaffali. Era stata la passione del sor Emilio, quella di fabbricar scaffali. Fabbricar scaffali, rilegar libri, star dietro ai suoi aggeggi “dell’osservatorio” (che era situato sotto il granaio, dirimpetto alla stanza della “gente di sotto” come si usava chiamare la servitù) e lustrare l’armeria coi suoi trentatré fucili, di cui due costruiti da lui con le canne assoprellate.
Poi c’era una poltrona, un mobiluccio per le riviste, alcune stampe col processo di Galileo. E nient’altro.
Ma la Signora, per farla, quell’ora del tè, più intima e dolce, voleva che tutti ci venissero com’erano, senz’ombra di formalità speciali, né d’abbigliamento né d’altro. E ne dava l’esempio lei per prima portandosi dietro il lavoro con tutto l’armamentario, che vi era connesso, di scatole e cestini e matasse e ovi di legno e altri aggeggi. Mentre il sor Emilio ci veniva con la sua tunica di falegname, ancora in sudore per il gran piallare fatto nel laboratorio dei suoi legni.”
(da Giorno di festa, Rizzoli (1963) edizione per le scuole medie 1968, pp.79-80)